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"...All'ostacolo non ci si arrende!

L'ostacolo insuperabile, è un punto di partenza..."

datore lavoroLa responsabilità civile del datore di lavoro per violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza dei dipendenti disciplinata dall’art. 2087 c.c. presuppone, in ossequio ai principi della responsabilità di natura contrattuale, che il lavoratore-contraente dimostri l’esistenza del rapporto lavorativo, dei danni subiti e della loro riconducibilità causale al sinistro, allegando la nocività/pericolosità dell’ambiente lavorativo, attraverso l’individuazione di una o più inadempienze del datore di lavoro ai suoi obblighi - specifici o generici - di adottare tutte le misure previste dalle normative di settore o evincibili in base alle comuni conoscenze scientifiche dell’epoca, mentre spetta al datore di lavoro-contraente fornire la prova di avere ottemperato alle citate prescrizioni nella misura professionalmente esigibile (ex multis, Cass., sez. Lav., 20 maggio 2010, n. 12351; Cass., sez. Lav., 17 febbraio 2009, n. 3788).

E' altresì importante evidenziare il ruolo che l’ordinamento assegna alla previsione di cui all’art. 2087 c.c., quale norma di chiusura del sistema, con funzione integratrice rispetto alla legislazione che prevede singole misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, con la conseguenza che la responsabilità del datore di lavoro, o delle altre persone alle quali sono attribuite funzioni di protezione dell'incolumità dei lavoratori, non è esclusa dall'inesistenza di una norma specifica di cautela (Cass., pen., sez. III, 3 ottobre 2007).

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità è fermo nel ritenere che, sebbene la responsabilità ex art. 2087 c.c. non sia di tipo oggettivo, la stessa non deve tuttavia ritenersi limitata alla violazione di norme d'esperienza o di regole tipizzate, ma deve intendersi come volta a sanzionare l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e delle cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza dell’esistenza di fattori di rischio (tra le altre, Cass., sez. lav., 14 gennaio 2005, n. 644).

La fattispecie contemplata nell’art. 2087 c.c., inoltre, attribuisce al datore di lavoro una posizione di garanzia rispetto all'incolumità del lavoratore non solo riguardo a tutti i rischi connessi all'ambiente di lavoro o comunque ad esso riconducibili, ma anche rispetto a quelli che derivino da eventuali imprudenze dello stesso lavoratore, con la sola eccezione degli atti abnormi del dipendente, ossia di atti così anomali che nessuno potrebbe prevedere (c.d. rischio elettivo).

Costante rimane l’affermazione secondo cui il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l'incolumità di quest'ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza (ex multis, Cass., sez. lav., 13 febbraio 2012, n. 1994). Più di recente, il principio è stato ribadito ed ulteriormente sviluppato chiarendo che “...In materia di infortuni sul lavoro, al di fuori dei casi di rischio elettivo, nei quali la responsabilità datoriale è esclusa, qualora ricorrano comportamenti colposi del lavoratore, trova applicazione l'art. 1227, comma 1, c.c.: tuttavia, la condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell'evento dannoso; in particolare, tanto avviene (...) quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l'imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell'evento dannoso” (Cass., sez. lav., ordinanza n. 30679 del 25 novembre 2019).

Va da ultimo rilevato che l’avvenuto accertamento, nell'ambito di una causa di lavoro, del danno all’integrità fisica del lavoratore e della sua addebitabilità all’insufficiente predisposizione di strumenti di sicurezza in violazione di un obbligo di legge, possono comportare la ricorrenza dei presupposti astrattamente integranti la fattispecie penale del reato di lesioni (quanto meno) colpose (cfr. Sez. L, Sentenza n. 20620 del 22/11/2012), essendo la fattispecie astratta di reato configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 cod. civ. (Sez. L, Sentenza n. 4184 del 24/02/2006).

* Contributo tratto dalla sentenza n. 62 del 15.5.2020, pronunciata dal Tribunale di Perugia, Sezione Lavoro.

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