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"...All'ostacolo non ci si arrende!

L'ostacolo insuperabile, è un punto di partenza..."

lentezza giustizia- LEGGE "PINTO" - L’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con la legge 4 agosto 1955 n. 848, riconosce a ciascuna persona il diritto a che la propria causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole.

Nel nostro paese, la Legge costituzionale del 23 novembre 1999, n. 2, ha sancito il principio del giusto processo mediante l'introduzione del secondo comma dell’articolo 111 della Costituzione, il quale recita testualmente: "Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata".

Laddove, in violazione dei cennati principi, la durata del processo risulti essersi concretamente protratta per un tempo irragionevole, per l'ordinamento italiano soccorrono le previsioni di cui alla Legge 24 marzo 2001, n. 89, nota anche come legge Pinto.

La disciplina dettata dalla menzionata normativa, peraltro recentemente novellata dalla legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge di stabilità 2016), mira invero a:

  • delineare il concetto di ragionevole durata del processo;
  • elencare tutti i rimedi che debbono essere preventivamente esperiti dalla parte processuale, affinchè la stessa possa poi dolersi dell'eventuale irragionevole durata del giudizio;
  • determinare quale siano l'autorità competente, la procedura e i criteri di quantificazione per il riconoscimento di un equo indennizzo in favore del danneggiato;
  • regolare le modalità attreverso le quali ottenere il pagamento delle somme riparatorie liquidate;
  • introdurre limiti e condizioni all'esperimento di azioni legali tese al recupero forzoso dell'indennizzo accordato.  

LA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO

Entro quanto tempo un giudizio deve concludersi affiché la sua durata possa essere considerata ragionevole? Secondo le previsioni della "Pinto" (art. 2):

 il giudizio di primo grado deve avere una durata non superiore ai 3 anni, a eccezione dei procedimenti aventi a oggetto casi legati all'equa riparazione di cui si tratta, i quali debbono invece espletarsi, in tutti i loro gradi, entro il tetto massimo di due anni (Corte Costituzionale, sentenza n. 36/2016);

 quello di secondo grado deve concludersi entro 2 anni;

 il giudizio di legittimità deve definirsi entro 1 anno (il superamento di uno dei termini finora visti non è però di per sè sintomatico di irragionevole durata; difatti, nei predetti casi, il termine limite si considera comunque rispettato allorquando il giudizio risulta definito in modo irrevocabile entro 6 anni; in altri termini il processo non potrà mia ritenersi connotato da un'irragionevole durata quando conclusosi, con una pronuncia passata in giudicato, nell'arco di 6 anni);

 il processo di esecuzione forzata deve avere termine entro 3 anni;

 le procedure concorsuali devono infine concludersi in 6 anni.

Ai fini delle relative operazioni di computo:

• il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell'atto di citazione; il processo penale si ritiene invece iniziato a partire dal momento dell'assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero dal momento in cui l'indagato, in seguito a un atto dell'autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento penale a suo carico (Corte Costituzionale, sentenza n. 184/2015);

• non si deve tenere conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello che intercorre tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l'impugnazione e la proposizione di quest'ultima.  

Qualora il processo abbia avuto una durata irragionevole, in quanto eccedente i tempi consentiti, può rivendicarsi il diritto all'equa riparazione da coloro che ne sono stati pregiudicati in quanto parti processuali.

RIMEDI PREVENTIVI

Esclusi i processi che alla data del 31 ottobre 2016 risultino presi in decisione o già connotati da durata irragionevole, condizione affinché il soggetto interessato possa ottenere il ristoro contemplato dalla normativa, è che lo stesso, in pendenza di giudizio, abbia esperito tutti i rimedi atti a prevenire il superamento delle soglie temporali oltre le quali la durata del processo è da ritenersi irragionevole.

Sotto tale profilo, secondo quanto disposto dall'art. 1 ter della legge Pinto (introdotto dall'art. 1, comma 777, lettera «a», della Legge 28 dicembre 2015, n. 208, "Legge di stabilità 2016"), occorre distinguere.

Nei processi civili, sono considerati rimedi preventivi:

- l'introduzione del giudizio nelle forme del processo sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis e seguenti, c.p.c.;

- la formulazione della richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario a norma dell'art. 183 c.p.c., entro l'udienza di trattazione e comunque sei mesi prima che trascorrano i termini di ragionevole durata previsti per il primo grado di giudizio;

- nelle cause in cui non si applica il rito sommario di cognizione, comprese quelle in grado di appello, la proposizione di un'istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell'art. 281-sexies, c.p.c., almeno sei mesi prima che trascorrano i termini di ragionevole durata previsti per i relativi gradi di giudizio. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice istruttore quando ritiene che la causa può essere decisa a seguito di trattazione orale, a norma dell'articolo 281-sexies del c.p.c., rimette la causa al collegio fissando l'udienza collegiale per la precisazione delle conclusioni e per la discussione orale.

Nel processo penale, come rimedio preventivo l’imputato e le altre parti devono depositare un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di ragionevole durata previsti per il giudizio di primo grado o per quello di appello.

Nei processi amministrativi, costituisce rimedio preventivo la presentazione dell’istanza di prelievo sei mesi prima della consumazione del termine di ragionevole durata previsto per il grado di giudizio che si sta celebrando.

Nel procedimento contabile e nei processi di natura pensionistica dinnanzi alla corte dei conti, il rimedio è rappresentanto da un’istanza di accelerazione che la parte deve presentare sempre sei mesi prima della maturazione del termine massimo di ragionevole durata dei giudizi.

Innanzi alla Corte di Cassazione, il rimedio è infine costituito dal deposito di un'istanza di accelerazione due mesi prima che trascorri il termine di ragionevole durata del giudizio.

MISURA DELL’EQUO INDENNIZZO

L’equo indennizzo deve essere liquidato giudizialmente e consiste nell’attribuzione di una somma da un minimo di € 400 a un massimo di € 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che risulti avere ecceduto il termine di ragionevole durata del processo (art. 2-bis).

Questa somma può essere incrementata fino al 20 per cento per gli anni successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo, ovvero diminuita fino al 20 per cento quando le parti del processo presupposto sono più di dieci e fino al 40 per cento quando le parti del processo sono più di cinquanta.

E' prevista la possibile diminuzione dell'indennizzo fino a un terzo nel caso in cui colui che invoca lo invoca abbia subito l’integrale rigetto delle proprie richieste nel procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce.

L’indennizzo è riconosciuto invece una sola volta in caso di riunione di più giudizi; in questa ipotesi la liquidazione può essere però incrementata fino al 20% per ciascun ricorso riunito su istanza di parte.

L’entità dell’indennizzo deve in ogni caso essere determinata tenendo conto:

  1. dell’esito del processo nel quale si è verificata la violazione della ragionevole durata;
  2. del comportamento del giudice e delle parti;
  3. della natura degli interessi coinvolti;
  4. del valore e della rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte.

Da considerare infine come la misura dell’indennizzo, anche in deroga a ogni criterio finora descritto, non può essere in ogni caso superiore al valore della causa o, se più basso, a quello del diritto accertato dal giudice. 

IL PROCEDIMENTO

La domanda di riparazione va proposta, a pena di decadenza, entro 6 mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva e si deve formulare mediante ricorso da presentare al presidente della corte d’appello del distretto in cui si è svolto il primo grado di giudizio del processo di durata irragionevole (art. 3).

Il ricorso va proposto nei confronti del Ministero della giustizia se ha ad oggetto un processo trattato dal giudice ordinario; va invece formulato nei confronti del Ministero della difesa se concerne un processo militare; negli altri casi è da proporre contro il Ministro dell’economia e delle finanze.

Il ricorso va corredato della copia autentica:

  1. dell’atto di citazione, del ricorso, delle comparse e delle memorie relativi al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata; 
  2. dei verbali di causa e dei provvedimenti del giudice; 
  3. del provvedimento che ha definito il giudizio, ove questo si sia concluso con sentenza od ordinanza irrevocabili. 

Sulla domanda di equa riparazione provvede il presidente della corte di appello o un suo magistrato appositamente designato; la decisione viene assunta con decreto motivato che, ove accoglie il ricorso, è provvisoriamente esecutivo e impone all’amministrazione contro la quale è pronunciato di pagare senza dilazione la somma liquidata, oltre le spese del procedimento.

Contro l’eventuale rigetto, anche parziale, della domanda, è prevista la possibilità di fare opposizione nel termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione del decreto motivato, mediante ricorso da inoltrare all’ufficio giudiziario cui appartiene lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento (art. 5-ter). Sull'opposizione decide quindi la stessa corte di appello, questa volta in composizione collegiale e senza la partecipazione del giudice che ha emesso il decreto impugnato. L’opposizione non sospende l’esecuzione del provvedimento, salvo che la corte la disponga per gravi motivi. Anche la corte d’appello decide con decreto immediatamente esecutivo, impugnabile a sua volta per cassazione.

Con i decreti che dispongono in merito alle domande di equo indennizzo, in caso di inammissibilità o manifesta infondatezza delle stesse, è facoltà del giudice disporre, quale sanzione processuale, la condanna del ricorrente al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma di denaro non inferiore a € 1.000 e non superiore a € 10.000.

Nel caso invece di accoglimento del ricorso, questo, unitamente al decreto che assegna l’equa riparazione, deve essere notificato per copia autentica all’ente contro il quale è stato proposto.

Tale notifica deve essere effettuata nel il termine perentorio di 30 giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento, decorso il quale la domanda non potrà essere più riproposta e il decreto emanato diverrà inefficace.

Il decreto in questi casi viene altresì comunicato al procuratore generale della corte dei conti per l’avvio di un’eventuale procedimento di responsabilità, nonché ai titolari dell’azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento.

Al fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate a norma della presente legge, il creditore rilascia all'amministrazione debitrice una dichiarazione ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, da rendere secondo apposito modello ministeriale e da consegnare, unitamente alla documentazione prescritta, alla corte di appello che ha emesso il decreto di condanna e che provvederà al pagamento dello stesso (art. 5-sexies); il regolare inoltro della dichiarazione e della documentazione sono condizioni per l’emanazione dell’ordine di pagamento e per l’inizio del decorso del termine di 6 mesi entro il quale la corte d’appello dovrà provvedere all’erogazione dell’indennizzo accordato.

Nel corso dei menzionati 6 mesi, il creditore dell'equo inennizzo non potrà notificare l’atto di precetto, nè avviare azioni esecutive o giudizi di ottemperanza. Spirato inutilmente il termine, nel caso di azioni legali tese al recupero forzoso dell’indennizzo accordato, non sono ammessi atti di pignoramento o di sequestro presso le Tesorerie dello Stato, sia centrale che provinciali.

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GIURISPRUDENZA

Il rigetto della domanda proposta nel giudizio presupposto non può giustificare il diniego del diritto all'equa riparazione, ove nel predetto giudizio risultino essere state compensate le spese di lite, con ciò dovendosi escludere la temerarietà dell'iniziativa giudiziaria. E' quanto ha confermato la Suprema Corte con la pronuncia 3258 del 7.2.2017 - in linea con altri arresti: ex plurimis, Cass.Civ., sez. 6-2, sent. n. 11606 del 2016 -, traendone la logica considerazione secondo la quale "la compensazione delle spese pronunciata dal giudice del giudizio presupposto esclude, per incompatibilità logico-giuridica la sussistenza dell'abuso del processo, e di conseguenza impedisce una nuova valutazione sul punto in sede di equa riparazione..."

Cass.Civ., Sez. VI, sent. n. 3258 del 7.2.2017 

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